THREE MONKS Neogothic Progressive Toccatas - di Riccardo Storti

12 luglio 2011

Superiamo la – pur affascinante – scenografia gotica di copertina, nome della band e titolo del CD. E andiamo ben oltre le tentazioni limitanti dei paragoni prog. Un trio di “monaci” buiovestiti. Trio prog tastiere, basso e batteria. Alt, occhio, anzi orecchio. Una tastiera e, nella fattispecie, un organo a canne, please. Vabbé. Restiamo al trio? Così scorre – in testa, ma meno nei padiglioni auricolari – la pletora di probabili riferimenti: dagli E.L. & P. alle Orme collagesque, dai Quatermass ai primi Latte e Miele. No, signori, siamo fuori strada. O meglio: per comodità analogica (e di etichette), possiamo anche crederlo, ma, alla fine, perdiamo la vera percezione di questo particolarissimo album che, non solo merita attenzione, ma soprattutto una discreta precisione – come dire? – critica.

Line-up… Start-up: Three Monks è, prima di tutto, un trio aretino formato da Paolo Lazzeri all’organo ecclesiastico, Maurizio Bozzi al basso e Roberto Bichi alla batteria (sostituito, però, in due brani, da Claudio Cuseri).
Arriviamo alla sostanza, allora: Neogothic Progressive Toccatas (Black Widow Records su licenza Drycastle) è, prima di tutto, un particolarissimo esperimento sonoro volto a mettere in luce le immense capacità timbriche dell’organo a canne all’interno di un layout ritmico-dinamico rock. L’esito è indubbiamente progressive. Elenchi di band e compositiori in ambito popular si sono divertiti ad inserire lo strumento nel rock: oltre agli esempi già citati, inserirei Tony Carnevale, Par Lindh, Triumvirat, Rustichelli e Bordini, The Trip, i Goblin, Jacula, il Battiato di Canto fermo (in M.elle le Gladiator). La funzione di tale scelta sonora? Beh, il recupero di una certa patina arcaica ma nobiltata dalla nobile tradizione magistrale di Johann Sebastian Bach. Chi non conosce la Toccata e fuga in re minore BWV 565 ? Poi una distorsione culturale – probabilmente prodotta dal fatto che il suono dell’organo si associa spesso a musiche per occasioni solenne, non esclusi i funerali – ha fatto nascere il mito gotico dello strumento, sfruttatissimo nel making di colonne sonore horror (vedi Profondo rosso).
Ma nessuno si era spinto a tanto, ovvero dedicare integralmente all’organo a canne un intero album rock, per di più tutto strumentale. Ecco perché vale la pena procedere oltre le apparenze. Le composizioni raccontano anche delle storie di organi, come quello nella cattedrale di Magdeburgo (rasa al suolo durante i bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale: lo strumento – un tempo tanto amato da Franz Liszt – è stato ricostruito nel 2009) o quello nella Basilica di Waldsassen o quello dell’Abbazia di San Florian (dove si trovano le spoglie del compositore austriaco Anton Bruckner). Attraverso le dediche e la narrazione, scopriamo che in ogni epoca si è composta musica per organo. Perché non farlo ancora oggi e in un ambito diverso?
Così in Progressive Magdeburg Lazzeri si lancia in una serie di raffinati fugati, ben assimilabili all’impianto ritmico del basso e della batteria, con sforbiciate metriche dal sapore “dispari”. Disco tradizionale fino in fondo, visto il recupero – a tratti “severo” – della scuola barocca europea attraverso lo stile libero della Toccata, secondo un restyling moderno (il riferimento è alle due Toccate Neogotiche, la n. 1 e la n. 7). Di non dissimile fattura anche l’elaborata Herr Jann, tributata al costruttore di organi Georg Jann: la composizione mostra un acume contrappuntistico che contagia anche le figurazioni ritmiche di basso e batteria in un vivace caleidoscopio di tensioni armoniche, talvolta rese ancora più nebulose da cambi di tempo, suggestivi accordi dissonanti e peculiari interludi in contrasto con il generale schema dinamico della traccia.
Neogothic pedal solo, invece, sembra apparentemente scostarsi dagli altri brani, sia per l’incipit di un coro monastico , sia per l’assolo di basso; ma, nella terza parte, l’arrivo dell’organo sembra quasi glossare i contenuti esposti fino a quel punto da i due interventi fissati come preludio. Non poteva mancare un omaggio ai Goblin: i Three Monk ricreano Profondo Rosso ma in una prospettiva classica, ovvero sfruttando il modulo del tema con variazioni.
Neogohic Progressive Toccatas, più che uno dei tanti fenomenali prodotti progressive, è, in primis, un’avventura acustica da affrontare senza pregiudizio alcuno e con la curiosità di scoprire una storia musicale che sembra scorgibile dietro l’angolo ma che in realtà porta assai lontano nello spazio e nel tempo. Il veicolo è proprio quell’organo da chiesa, scritto negli spartiti di Bach e Buxtehude, poi riabilitato romanticamente da Liszt, Reubke, Bruckner, Franck, Saint-Saëns (a proposito, questo esperimento mi ricorda molto quello che il francese tentò con la coraggiosa Sinfonia n. 3…) e Reger, quindi balzato fuori dalla recherche classico-progressive di Emerson, Simonetti e Vescovi. Paolo Lazzeri è “solo” l’ultimo monaco amanuense che, con pazienza certosina ed entusiasmo benedettino, ha ripreso la pulizia dei registri e delle canne.
© Riccardo Storti

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