MARCELLO CAPRA Fili del tempo - di Riccardo Storti

24 ottobre 2011

La chitarra di Marcello Capra non è proprio uno strumento musicale. Direi che è più uno strumento di viaggio. Sì, perché il musicista piemontese ci ha ormai abituato da tempo a salire sulle corde della sua acustica, invitandoci a seguirlo per le strade tracciate ai bordi di un atlante pentagrammato.

Ciò è quanto capita anche nell’ultimo lavoro Fili del tempo (Electromantic, 2011), vera e propria collezione di rotte sonore, arricchite dalla supervisione di Beppe Crovella (qui impegnato pure come sessionman all’Hammond e alle tastiere). C’è un Mediterraneo un po’ californiano (Dreaming of Tinder), l’Argentina tanguera (Astor), il Brasile samba-fusion (Irio), Napoli (Danzarella) e vertici di un Oriente estremo in tutti i sensi (For Tibet). I fili del tempo, però, una volta riannodati, mettono in luce i ricordi: così si spiega la cover dei Cream (dall’originale di Skip James) So Glad e il medley-tributo alla Frontiera dei Procession. I felici movimenti ritmico-armonici della chitarra di Capra creano ulteriori episodi di un virtuosismo creativo mai fine a se stesso (la title track), incoraggiando varianti etniche per spunti blues (Standby) o accogliendo suggestioni – tanto vivaci quanto semplici – rivolte ad Est (Un sogno lucido).
Ma l’intuizione più brillante alla base di Fili del tempo va ricercata nel ritorno di Silvana Alliotta, voce storica dei Circus 2000, che
in più tracce presta il proprio canto. Immutato per qualità ed entusiasmo. Anzi, c’è qualcosa di più. Negli anni Settanta il timbro della Alliotta venne spesso affiancato a quello di Grace Slick dei Jefferson Airplane. Un complimento, però anche una condanna, se vogliamo… E proprio nell’opener Dreaming of Tinder il fattore Slick si rifà vivo. In So Glad il pertinente inserimento dell’Alliotta è la ciliegina sulla torta. Il culmine nei vocalizzi jazz carioca di Irio: una vis interpretativa inarrestabile e, al contempo, controllata e, presi dal groove, ci chiediamo perché l’Alliotta non sia diventata la nostra Shelley Bassey. A pennello l’ultimo cameo in For Tibet: la cantante lascia che la chitarra di Capra le apre la strada ed, al momento, fa il suo ingresso. Una voce, poi un’altra, dentro il fascino della sovraincisione, con un andamento melodico a spirale, in un metamorfico blues sciamanico, bloccato all’ìmprovviso dal pedale di Silvana e l’ “altra”.
© Riccardo Storti

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VITTORIO DE SCALZI Gli occhi del mondo - di Riccardo Storti

15 ottobre 2011

Vittorio De Scalzi è l’unico artista veramente in grado di dare voce e musica all’ineffabile mondo poetico di Riccardo Mannerini. “Ineffabile”. Fa specie usare questo aggettivo, per la poesia. Ineffabile. Impossibile da raccontare. Eppure la parola – in poesia – è tutto. Quando poi si scende (o si sale) per colorare con i suoni i versi, il rischio di una banale implosione per corto circuito è dietro all’angolo. Se il musicista decide di avvicinarsi al poeta, deve – come minimo – sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda, cogliere quell’orizzonte che non sempre lo spartito ti consente.

Ma Vittorio De Scalzi è una vita che gira per i caruggi di Mannerini. Ci si infilò la prima volta nel 1968 con i New Trolls, complici De André e Gian Piero Reverberi, per Senza orario senza bandiera. Un contatto artistico mai cessato e, al tempo stesso, una consonanza tra i metri manneriniani e la facilità compositiva sull’arco melodico di De Scalzi.

Finalmente, ora, ci siamo. Dopo la brillante uscita zeneise del 2009 (Mandilli), De Scalzi, in collaborazione con il cantautore Marco Ongaro, ha pubblicato Gli occhi del mondo (produzione Aereostella).
Selezionando dal canzoniere di Mannerini, De Scalzi ci presenta una galleria di personaggi che vivono di sentimenti- spesso estremi - in un’atmosfera di magica quotidianità: la gelosia di Gionata Orsielli, la solitudine di Isabella Eggleston, l’educazione distratta di un Serial Killer colto nell’atto di uscire da un forno con “in mano il sacchetto del pane”, l’amore “stordito” di Martina di marzo “incerta sui tacchi fra incerti lampioni”. Scorrono veloci gli incubi di un crudele desiderio prenatale (Il ritorno) e agili trasfigurazioni evangeliche (12 pescatori), in fondo ad una geografia esistenziale tutta da riscrivere (Senza una voce), tracciando rotte attraversi temi sensibili quali il suicidio (Tante gocce), la giustizia (La corte), gli affetti più intimi (L’ultimo altare) e il senso della vita (Gli occhi del mondo).
Il tessuto musicale procede di pari passo con lo spirito delle liriche. È il De Scalzi compositore fine e maturo delle melodie di The Seven Seasons e di Mandilli, ma che non esita a personalizzare su diversificati stili di ballad: blueseggiante (Il ritorno), country-western (Gionata Orsielli, Serial Killer), mediterranea (Senza una voce), beatlesiana (Isabella Eggleston… con un mellotron alla Strawberry Fields Forever), italiana doc (Tante gocce), easy-listening (Sera sul mare), soul (Martina di marzo). Alcune canzoni (L’ultimo altare e Gli occhi del mondo) si conferma un ulteriore naturale allineamento con il De André di Anime salve e il Fossati anni Novanta. Un pizzico di Chicago con lo spirito saltellante di Le Roi Soleil, sostanzia il profilo melodico-ritmico de La corte, in mezzo al divertito e divertente gioco declamazioni forensi (voce dell’attore Corrado Tedeschi) e di staccati. Il rock, invece, a gamba tesa con una teoria di riff, stacchi e accordi pieni, spezzando la tenue atmosfera di 12 pescatori.
De Scalzi canta, suona pianoforte, piano elettrico, chitarre (classica e acustica), sintetizzatori e mellotron ed è accompagnato dal fedele Andrea Maddalone alla chitarra elettrica (molto bensoniano…), dal bassista Massimo Trigona (noto sessionman genovese che qualcuno di voi avrà visto sul palco de La Claque con Il Picchio Dal Pozzo) e dal batterista jazz Enzo Zirilli (ha suonanto con Moroni, Tavolazzi, Pieranunzi, Rolff). Tra i musicisti ospiti: Franz Di Cioccio della PFM (batteria nella seconda versione de Il ritorno), la White Light Orchestra (il trio d’archi degli Gnu Cabrera, Izzo e Rebaudengo), il chitarrista Paolo Bonfanti, il fisarmonicista rumeno Nani Tudor, il fiatista Edmondo Romano e il mandolinista Martino Coppo.
Un po’ come i protagonisti di Sera sul mare, Mannerini, De Scalzi e Ongaro diventano “ricettatori di stelle” che “aprono i loro armadi fra le nubi”, mentre “il nostro cuore tenta a buon mercato di comprarsi un sogno”. Un CD, come questo, può bastare. Quando si dice una medicina per l’anima.

© Riccardo Storti

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