UN'ESTATE FA (parte 2) - Travolgenti Osanna: il prog che non invecchia - di Gianni Martin

2 novembre 2010

Domenica 1 agosto, la piazza Duomo di Spilimbergo, arriva la grande musica progressiva italiana partenopea . Il prog partenopeo è un animale senza respiro,

la Prog Family è Osanna, il vertice di quella musica assieme alla Pfm e gli Area, forse i più grandi perché maggiormente legati alla passione mediterranea. Così il concerto di domenica-evento fra gli eventi di questo bel festival – è stato un’ autentica esplosione di energia rock: grande musica e grandi canzoni sostenute da un ritmo vitale contagioso quanto ineludibile e inserite in uno show praticamente perfetto nelle sue due ore di parteno-vibrazioni. Le fondamenta degli Osanna, da quelli degli esordi con Elio D’Anna a quelli di oggi guidato da Lino Vairetti, erano e rimangono Palepoli, L’Uomo (capolavoro assoluto) e Landscape of life. Ad essi si aggiungono i pezzi del nuovo lavoro Prog Family, una famiglia allargata in cui trovano posto la leggenda del sax David Jackson(Van Der Graaf Generator) e- in alcune travolgenti canzoni- la tastiera dell’indimenticato Balletto di Bronzo, Gianni Leone. Napoli, si diceva. La Napoli del travisamento (facce dipinte e maschere hanno sempre accompagnato la band), la Napoli di Pulcinella rielaborata dal celebre Carosello di Ettore Giannini che apre lo spettacolo sullo schermo. Le splendide immagini legano tutto dall’inizio alla fine, qui passato e presente scorrono e si abbracciano con perfetti sincronismi, specialmente quando vedi- ascolti lo stesso brano cantato in bianco e nero dagli Osanna dei Settanta e poi sul palco dal gruppo del 2010. Emozioni forti! Una scelta chiara. Significa che la strada non è cambiata, nonostante gli anni del silenzio, nonostante i musicisti siano diversi: è rimasto come si diceva, solo Lino o’maestro (voce, chitarra e armonica), gli altri - tutti di eccellente livello- sono Gennaro Barba alla batteria, Fabrizio Fedele alla chitarra elettrica, Nello D’Anna al basso, Sasà Priore alle tastiere e Irvin Luca Vairetti alle tastiere e alla voce, con l’inglese-partenopeo David Jackson ai sax (spesso due contemporaneament) e al flauto. L’impatto sonoro è forte, pieno, rigoglioso, malato di rock, festoso nelle sue misurate improvvisazioni, forte di un’intesa perfetta e di una ritmica bombardante. Sfilano i classici di Palepoli (le iniziali Animale senza respiro e Oro caldo), i gioielli da L’uomo (il pezzo omonimo, Vado verso una meta, In un vecchio cieco, L’amore vincerà di nuovo, Non sei vissuto mai) e da Lanscape of life (Two boys, Il castello dell'Es, Fiume), arrivano Ce vulesse ce vulesse (da Suddance), My mind flies, la tribale Taka boom e le bellissime ed emblematiche Fuje’a chistu Paese (praticamente intro di Palepoli) e Solo uniti dei Città Frontale. Fino alla citazione dell’ Hendrix di Kiss the sky, all’omaggio, anche nei bis, di Theme One, corale epico dei giganti Van Der Graaf e alla struggente Canzona (There will be time), la nostra preferita.
La cosa soprprendente, dopo due ore di emozioni e di torrenziale e straordinaria performance strumentale, è che questa musica progressiva non è poi tanto prigioniera dei Settanta. Perché? Perché gli Osanna di oggi l’hanno vivificata, rivissuta e sono stati capaci di restituircela fresca, intatta, ancora in grado di dirci e darci qualcosa da tenere nel cuore. [G.M.]

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UN'ESTATE FA (parte 1) - Rocchi dipinge le profondità dell'uomo - di Gianni Martin

1 novembre 2010

Al 32° festival di Folkest di Spilimbergo (PN), il 31 luglio 2010, c’era anche Claudio Rocchi, in Piazza Garibaldi. Claudio con il suo lungo viaggio nella canzone d’autore italiana ha seguito altre rotte: alcune verso l’oriente e le sue fedi, altre verso la sperimentazione sonora, rotte defilate però importanti, seminali, sicuramente generose con chi ha seguito questo maestro di spiritualità in musica che non vuole insegnare, bensì testimoniare un piccolo percorso personale.

A Spilimbergo Claudio ha dimostrato di non essere prigioniero di un passato, di non essere un personaggio del passato, ma una mente libera dagli illusori vincoli del tempo, libero di comunicare sentimenti e pensieri, di raccontare La realtà non esiste. E’ capace di parlare in modo straordinariamente fresco e originale - oggi come ieri - di Gesù Cristo e dei miracoli necessari, di radici e semi. Una sublime amarezza ci accompagnava prima del concerto, perché temevamo che la gente non avrebbe capito, o non avrebbe capito più Claudio Rocchi. Invece, ci siamo sbagliati: la platea era formato da un pubblico attento (con tanto di Fan Club) e chi tornava dal paradiso blues di Eric Bibb (che suonava in un altro palco a 300 metri da lui) si è fermato ad ascoltare, rapito da questi frammenti di sereno paradiso interiore che le canzoni di Claudio sanno svelarci e donarci senza pretese didascaliche, senza strade etiche o politiche obbligate, ma soltanto con il desiderio - come abbiamo già detto - di vivere e testimoniare, un essere fra altri essere, fino alla compassione di fronte ai mali e ai malanni del mondo ai punti di domanda che popolano i nostri orizzonti di fragili creatori. Il Volo magico di una notte d’estate a Folkest è stato terapeutico - se non salvifico - per molti di noi: chi ha sempre amato Rocchi nella sua tenera e solare spiritualità e per chi lo ha ascoltato per la prima volta. Il Volo magico ha scacciato fantasmi e tolto ragnatele alla musica d’autore, illuminato dalle candele sul palco, dalla voce e della chitarra di Claudio Rocchi. E da un messaggio antico come le montagne: l’amore per l’uomo in tutte le sue fragili e meravigliose declinazioni. Ben tornato Claudio…. [G.M.]


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