BALLO DELLE CASTAGNE - di Mattia Scarsi

30 agosto 2010

Fin dal primo ascolto, fin dal mio primo “Ballo delle Castagne”, ho avvertito l’incombente (com)presenza del suono buio e disperato dei Pain of salvation smarrito talvolta in soluzioni più acquose, pendenti verso l’ indie o indie-pendenti.
Procedendo con la frequentazione di questo lavoro confermo i richiami ai tetri riti ed attriti di Gildenlow e soci, band maestra nello sviscerare la bellezza dell’inquietudine.
Francamente però devo ammettere che questo album non è riuscito a rapirmi, a depredarmi, a colonizzare la mia attenzione, insomma non mi ha convinto del tutto.

Vi ho trovato solo scampoli di incubi, brevi intermittenze di buio ed in qualche traccia buone dorsali ritmiche con pregevole lavoro chitarristico di Marco Garegnani. In questo senso vorrei citare Sole e acciaio, lacustre e cupa come un sonetto di Bei Dao, danza ipnotica su un sitar meticcio e sembra fiorire da labbra irrorate d’ assenzio: “Ribaltare il silenzio della morte con l’eloquenza dell’acciaio”, ecco lo spirito maudit su cui cola un testo dal sapore esiziale. Ecco quello che è o, a mio parere, avrebbe dovuto essere, la tana di questo album, che invece, ahimé, non trova altri momenti emergenti.
La libera rivisitazione di Omero con cui il disco si schiude, si apprezza per un testo dotato di artigli ma rimane sulla pelle come un inferno tiepido. Così come non convince Specchi e perline colorate, uno degli episodi di indie rock a cui si accennava prima, che ricorda le pagine meno abrasive dei Verdena. A ciò s’ aggiunga la performance del lead vocal Vinz che se declinata ad un’ interpretazione teatrale come ne Il Pianto di Cristo su Gerusalemme, può creare sinistre suggestioni ma che ha ancora molto da lavorare per aderire con più incisività e maggior policromia e per suonare meno stanca e stentorea nelle parti cantate. [M.S.]

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