TROMAPROJECT Tromasoda - di Riccardo Storti

22 settembre 2012

Prendere alcuni standard jazz e centrifugarli per bene attraverso le lame affilate di un power trio. È quanto hanno combinato i Tromaproject di Renzo Luise (chitarra, già Jus Primae Noctis e non solo), Dino Cerruti (basso) e Rudy Cervetto (batteria): centrale la funzione solista della versatile sei corde di Luise che mischia con disinvoltura disparate cifre stilistiche (dal crossover al blues, dal rock'n roll alla fusion); sotto una sezione ritmica mai doma nel pompare adrenalina.
Il risultato è un breve CD (autoprodotto) di 5 brani riveduti e scorretti con graffiante grazia. Blue Trane di Coltrane sfrutta il primordiale giro con iniezioni wah-wah hendrixiane e dissonanze frippiane; Birk's Works di Gillespie lascia scorie filtrate da un setaccio un po' grunge e un po' Led Zeppelin; Impression di Coltrane miscela sentori da colonna sonora spy movie con cesure rumoristiche alla Naked City; una pericolosa natura punk metal s'impossessa di Road Song (Wes Montgomery). Non poteva esserci conclusione più iconoclasta di una “cubista” A Night in Tunisia (altro classico di Gillespie) dal profilo hard core ingentilito da un interludio basso-batteria piuttosto latineggiante. Che la segnalazione sia una preziosa occasione per discografici curiosi... signori, ne vale la pena.
© Riccardo Storti

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STORIE DI ROCK Innocenzo Alfano - di Riccardo Storti

19 settembre 2012

Innocenzo Alfano continua ad offrire importanti contributi musicologici all'analisi della popular music, pertanto anche del progressive; ed il suo ultimo Storie di rock testimonia ulteriormente questo sforzo impegnativo biunivoco. Sì, biunivoco perché Alfano è uno che non si risparmia di fronte a qualsiasi atto di vivisezione della partitura ma, al contempo, i suoi lavori richiedono pari attenzione da parte di chi legge. Da quando ha esordito nel 2004 con Fra tradizione colta e popular music: il caso del rock progressivo, Alfano ci ha abituato al gusto dell'approfondimento sul dato musicale, senza tanti fronzoli e senza troppe invasioni sociologiche e letterarie. E questo è sicuramente il maggior pregio del suo approccio. Così è stato anche per gli altri volumi (Verso un'altra realtà ed Effetto Pop) che – è doveroso sottolinearlo – si presentano come raccolte di saggi monografici (o inediti o riveduti e corretti, dopo essere stati pubblicati in spazi pubblicistici dedicati, tra cui il nostro “contrAPPUNTI”). Idem dicasi per il recente Storie di rock. Per entrare meglio nello specifico del libro, vale la pena citare il capitale sottotitolo: “Gli Anni Sessanta e Settanta attraverso dischi, festival, libri, luoghi, suoni e molte curiosità”. Dando una scorsa all'indice, c'è da perdersi: Allman Brothers, Hendrix, Colosseum, Family, Dylan, Genesis, Bakerloo, John Cipollina, Tempest, PFM, Le Orme, Acqua Fragile, Bombay Calling, Jimmy Page, Beatles, The Who, Bonzo Dog/Dah Band e potremmo continuare. Lo zibaldone si fa più unitario e saggistico con un capitolo autonomo sulla scena californiana (San Francisco Sound: i suoni di una città), praticamente un importante unicum in Italia. Beh, poi Alfano lo conosciamo: non ha peli sulla lingua, il suo taglio non dà adito ad equivoci e non lascia dubbi, ma – con buona e precisa volontà dell'autore – vuole essere “discutibile”, talvolta in maniera anche provocatoria e senza troppe mediazioni. Muovere le acque al di là di luoghi comuni e ipse dixit. Ci sta. Significa “fare critica”. Libro prezioso. Due punti, però, possono destare qaulche perplessità. Uno: il saggio Fabrizio De André in concerto con arrangiamenti (contraffatti) della PFM, già pubblicato sul blog di Athos Enrile e che innescò a suo tempo una replica precisa di Lucio Fabbri
(che, ahinoi, non è stata invece inserita da Alfano nel libro... peccato!). E sia: ci sarà consonanza tra Zirichiltaggia e Spirit dei Dobbie Brothers e tra Volta la carta e Paddy's Jig degli Steeleye Span, ma che c'entra la PFM? La Premiata nel live con De André, mantenne quegli arrangiamenti dall'album Rimini così come erano stati elaborati dalla triade Mims – Bubola – Reverberi. Poi l'idea di Alfano di denominare l'album con la dicitura “arrangiamenti PFM” preferendo un “accompagnamento PFM” è proprio fuori luogo e per nulla condivisibile. Musicalmente, in origine, cosa erano La guerra di Piero, La canzone di Marinella, Il giudice, Amico fragile, Bocca di Rosa, Il pescatore, Maria nella bottega del falegname, Il testamento di Tito, Verranno a chiederti del nostro amore, Giugno '73? E cosa sono diventate dopo quel tour, grazie agli arrangiamenti della PFM? La risposta sta nella carriera di De André che, anche in seguito, nei suoi live successivi, volle che quegli arrangiamenti di Mussida, Premoli, Djivas, Di Cioccio, Fabbri e Colombo rimanessero inalterati. Altro che accompagnamento...
Due: l'appunto Paul McCartney è morto, ma nessuno lo sa, riflessione sul divertente ed acuto lavoro ricostruttivo del famoso mito a cura di Glauco Cartocci (Il caso del doppio Beatle). Alfano ne distrugge le fondamenta senza, però, nemmeno entrare dalla porta e dare un'occhiata a chi c'è nell'appartamento... Alfano fiuta (e presume) che il lavoro di Cartocci possa parlare poco di musica e riduce il tutto ad una questione di gossip. E Alfano ammette, sì, di essere andato in libreria, ma “mi è bastato sfogliare l'introduzione del volume, più alcune decine di pagine dei vari capitoli/paragrafi di cui è composto il libro – le più significative, se così si può dire sperando di non abusare del termine -, perché mi passasse la voglia di leggerlo integralmente e soprattutto di spendere i soldi per l'acquisto”. Non è corretto, se non altro per una forma di rispetto nei confronti di chi quel libro lo ha scritto. Un brutto autogol.
Si può polemizzare con Alfano e mi è capitato di farlo più volte in forma privata. Io credo che le divergenze aiutino comunque a crescere e a fare crescere il nostro piccolo mondo critico. Gli input di Alfano – comunque la si pensi – offrono sempre una possibilità di replica, appunto, costruttiva. Cosa mi auspico dal nostro amico calabrese, pisano d'adozione? Beh, l'ho pregato più volte... ed ora passo dal privato al pubblico. Un saggio organico su un argomento specifico. Ben vengano le monografie, ma perché non pensare ad un equivalente italiano della pietra miliare Rocking the Classic di Edward Macan? Di sicuro, Alfano ha tutte le carte in regola per affrontare simile sfida e con risultati a lunga gittata. © Riccardo Storti 

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LAKME' Endless Rail - di Mattia Scarsi

9 settembre 2012

Nel caos calmo di tutti i giorni, la fuoriserie che abbiamo dentro la testa si schianta o s’avventura, per inesorabile sfortuna o per negletta pigrizia, nelle sabbie mobili del luogo comune.
La diffusione di questa regione arida, di questa paralisi del ragionamento, lo sappiamo bene, sta fossilizzando il nostro linguaggio (in prognosi riservata) e trivellando le rughe alla creatività.
Si parla con metodicità kantiana della crisi dell’arte che non riesce nemmeno più ad ascoltarsi, figuriamoci a farsi ascoltare. La musica viene accusata di duplicare, con più o meno accorta ostinazione, la sua scorta di sette voci, esaurita da tempo.
Poi, fra i crepacci dell’abitudine, dopo quintali di ruminato, apparecchiato per piacere, ecco la distrazione. Qualcuno dà le spalle al “sistema”, si chiude nella propria “stanza” a preparare la valigia, riempiendola di un bagaglio rischioso e poco accondiscendente: la propria sensibilità.
Di recente ho avuto la fortuna di ascoltare i lavori pianistici di Chiarandini, Nocenzi, Bodin e Crivella tanto per dare qualche esempio di “bagaglio a rischio”.
Francesco Gazzara proviene dal mondo dell' acid jazz, ma ultimamente ha evidenziato una propensione per il rock di matrice colta, che ha lambito, carezzato e superato in un tempo esiguo. Nei Genesis ed in un certo art-rock inglese aveva imbevuto le trame di The Piano room mentre con i suoi ultimi lavori il percorso è stato sempre più limitrofo alla musica contemporanea in cui ha fatto convergere le colonne sonore e la background music, il rock, il jazz e l’impressionismo new age.
Endless rail è un amplio, variopinto macramé di tutto questo. Soffusa e ariosa la title track mentre Your hand si svuota su di noi come una brocca colma di argento vivo. Poi state pronti a ovattare il passo, trattenete il respiro e gustatevi Day after day, il reportage di un safari sulla Luna.
Alla faccia di chi dice che “In fondo le note sono sette e di lì non si scappa”. Quante volte vi è toccato ingollarvi pazienti, discorsi di questo calibro? Confutate questa insulsa emissione d’anidride carbonica provando ad ascoltare (e a far ascoltare) un brano orchestrale della statura di Unter see, vi sembrerà di nuotare nella Via Lattea.
Antartica e Shock and awe, sono due edelweiss, rari ed irraggiungibili, da cui inalare il fresco profumo plurivoco che il progressive possedeva nella sua infanzia. Gazzara si alterna con gusto pittorico fra il mellotron, l’organo, l’harmonium ed il pianoforte da cui evaporano suoni che conducono ad un luminoso samadhi dell’anima.
La mia opinione è che la bellezza (quella intima) si possa indossare in qualunque occasione.
Se proprio dovessi suggerire un climax ideale per l’ascolto di questo lavoro, propenderei forse per l’imminente notte di San Lorenzo, la notte delle Perseidi, quando il cielo verrà irrigato da sciami erranti di astri in fuga.
Forse perché è un lavoro che promana una serenità celeste, forse perché è intarsiato da un pacato, dolcissimo desiderio. E forse desiderare (dal latino de-sidera) significa sdraiarsi a guardare le stelle aspettando che da loro discenda qualcosa. (Mattia Scarsi - tratto da contrAPPUNTI - Quaderno trimestrale del Centro Studi per il Progressive Italiano - Anno VII - n. 4 - inverno 2010-2011)


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ALVITI & PAPOTTO Le immagini della musica - di Mattia Scarsi

Che cosa è musica? Che aspetto ha? Quali immagini si proiettano nella sua voce? Quali visioni scorrono nel letto del suo fiume?
Io ne sono convinto da tempo: musica è la pittura che non finisce nel quadro. La cornice non è il limite del quadro ma il confine che la realtà non riesce a valicare per tuffarsi nella tela.
Parto da questa mia tesi, condivisibile o meno, per parlare de Le immagini della musica, il nuovo lavoro di Massimo Alviti e Alessandro Papotto. I due compositori ed eccellenti interpreti, che vantano nel loro percorso artistico prestigiose collaborazioni, (Avion Travel, Banco, Mauro Pagani per Papotto , Rodolfo Maltese e Raffaele Simeoni per Alviti) non hanno bisogno di molte presentazioni: il titolo sinestetico del cd, rimanda all’idea di un “film”nel quale Alviti con il suo ottimo fingerstyle e Papotto alternandosi fra clarinetto e sax soprano, affermano di voler stimolare le immagini dell’inconscio nello “spettatore”.
Mi accingo dunque a raccontare l’intima pellicola che mi ha avvolto durante l’esperienza (multisensoriale) dell’ascolto, ben conscio dei limiti che possiede il misero setaccio della scrittura.
Sta di fatto che da questo sodalizio artistico, coadiuvato da una produzione all’altezza, si traccia un disegno delicato, ricco di chiaroscuri, ad indicare quanto più colore vi sia nelle sfumature anziché nei contrasti. Un disco di classe, un prisma di luce piena dove soffermarsi di più su una “faccia” del poliedro, vorrebbe dire mettere in ombra le altre. Nonostante ciò, devo ammettere che la melodia ambrata di Forse una canzone s’insinua nei ventricoli fin dal primo ascolto, che le acrobazie leggiadre de Il saltimbanco, infastidito dal calabrone di Rimskij-Korsakov, celebrano nel migliore dei modi l’intesa dei due artisti, che il godibile jazz old style di Vecchia radio e la malinconica e bellissima Notte, giorno, notte sono modelli di puro entertaiment e di talento visionario.
E’ però nella sua interezza che l’album si rivela una galassia, composta di tredici pianeti, che ruotano nelle retine e nelle orecchie di chi ascolta, ben oltre il tempo delle loro orbite udibili.
D’altronde certa musica, la grande musica, riverbera in noi come un’eco gentile e dispotica: le sue note ci colonizzano, ci possiedono, ci animano, ci regalano l’immaginazione. Sono ciottoli lanciati in acque morbide dove i cerchi si diramano fino alla Luna ed oltre.
Restano ai margini le parole, come pleonastici orpelli, come recinti da divellere o come fagotti legati al volo di cicogne. Certa musica, la grande musica è tela senza cornice, senza soggetto, libera di ritrarre se stessa. Parte di quella musica è qui dentro. A noi non resta che contemplarla, in silenzio, ad occhi chiusi. (Mattia Scarsi)

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