ALVITI & PAPOTTO Le immagini della musica - di Mattia Scarsi

9 settembre 2012

Che cosa è musica? Che aspetto ha? Quali immagini si proiettano nella sua voce? Quali visioni scorrono nel letto del suo fiume?
Io ne sono convinto da tempo: musica è la pittura che non finisce nel quadro. La cornice non è il limite del quadro ma il confine che la realtà non riesce a valicare per tuffarsi nella tela.
Parto da questa mia tesi, condivisibile o meno, per parlare de Le immagini della musica, il nuovo lavoro di Massimo Alviti e Alessandro Papotto. I due compositori ed eccellenti interpreti, che vantano nel loro percorso artistico prestigiose collaborazioni, (Avion Travel, Banco, Mauro Pagani per Papotto , Rodolfo Maltese e Raffaele Simeoni per Alviti) non hanno bisogno di molte presentazioni: il titolo sinestetico del cd, rimanda all’idea di un “film”nel quale Alviti con il suo ottimo fingerstyle e Papotto alternandosi fra clarinetto e sax soprano, affermano di voler stimolare le immagini dell’inconscio nello “spettatore”.
Mi accingo dunque a raccontare l’intima pellicola che mi ha avvolto durante l’esperienza (multisensoriale) dell’ascolto, ben conscio dei limiti che possiede il misero setaccio della scrittura.
Sta di fatto che da questo sodalizio artistico, coadiuvato da una produzione all’altezza, si traccia un disegno delicato, ricco di chiaroscuri, ad indicare quanto più colore vi sia nelle sfumature anziché nei contrasti. Un disco di classe, un prisma di luce piena dove soffermarsi di più su una “faccia” del poliedro, vorrebbe dire mettere in ombra le altre. Nonostante ciò, devo ammettere che la melodia ambrata di Forse una canzone s’insinua nei ventricoli fin dal primo ascolto, che le acrobazie leggiadre de Il saltimbanco, infastidito dal calabrone di Rimskij-Korsakov, celebrano nel migliore dei modi l’intesa dei due artisti, che il godibile jazz old style di Vecchia radio e la malinconica e bellissima Notte, giorno, notte sono modelli di puro entertaiment e di talento visionario.
E’ però nella sua interezza che l’album si rivela una galassia, composta di tredici pianeti, che ruotano nelle retine e nelle orecchie di chi ascolta, ben oltre il tempo delle loro orbite udibili.
D’altronde certa musica, la grande musica, riverbera in noi come un’eco gentile e dispotica: le sue note ci colonizzano, ci possiedono, ci animano, ci regalano l’immaginazione. Sono ciottoli lanciati in acque morbide dove i cerchi si diramano fino alla Luna ed oltre.
Restano ai margini le parole, come pleonastici orpelli, come recinti da divellere o come fagotti legati al volo di cicogne. Certa musica, la grande musica è tela senza cornice, senza soggetto, libera di ritrarre se stessa. Parte di quella musica è qui dentro. A noi non resta che contemplarla, in silenzio, ad occhi chiusi. (Mattia Scarsi)

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