STORIE DI ROCK Innocenzo Alfano - di Riccardo Storti

19 settembre 2012

Innocenzo Alfano continua ad offrire importanti contributi musicologici all'analisi della popular music, pertanto anche del progressive; ed il suo ultimo Storie di rock testimonia ulteriormente questo sforzo impegnativo biunivoco. Sì, biunivoco perché Alfano è uno che non si risparmia di fronte a qualsiasi atto di vivisezione della partitura ma, al contempo, i suoi lavori richiedono pari attenzione da parte di chi legge. Da quando ha esordito nel 2004 con Fra tradizione colta e popular music: il caso del rock progressivo, Alfano ci ha abituato al gusto dell'approfondimento sul dato musicale, senza tanti fronzoli e senza troppe invasioni sociologiche e letterarie. E questo è sicuramente il maggior pregio del suo approccio. Così è stato anche per gli altri volumi (Verso un'altra realtà ed Effetto Pop) che – è doveroso sottolinearlo – si presentano come raccolte di saggi monografici (o inediti o riveduti e corretti, dopo essere stati pubblicati in spazi pubblicistici dedicati, tra cui il nostro “contrAPPUNTI”). Idem dicasi per il recente Storie di rock. Per entrare meglio nello specifico del libro, vale la pena citare il capitale sottotitolo: “Gli Anni Sessanta e Settanta attraverso dischi, festival, libri, luoghi, suoni e molte curiosità”. Dando una scorsa all'indice, c'è da perdersi: Allman Brothers, Hendrix, Colosseum, Family, Dylan, Genesis, Bakerloo, John Cipollina, Tempest, PFM, Le Orme, Acqua Fragile, Bombay Calling, Jimmy Page, Beatles, The Who, Bonzo Dog/Dah Band e potremmo continuare. Lo zibaldone si fa più unitario e saggistico con un capitolo autonomo sulla scena californiana (San Francisco Sound: i suoni di una città), praticamente un importante unicum in Italia. Beh, poi Alfano lo conosciamo: non ha peli sulla lingua, il suo taglio non dà adito ad equivoci e non lascia dubbi, ma – con buona e precisa volontà dell'autore – vuole essere “discutibile”, talvolta in maniera anche provocatoria e senza troppe mediazioni. Muovere le acque al di là di luoghi comuni e ipse dixit. Ci sta. Significa “fare critica”. Libro prezioso. Due punti, però, possono destare qaulche perplessità. Uno: il saggio Fabrizio De André in concerto con arrangiamenti (contraffatti) della PFM, già pubblicato sul blog di Athos Enrile e che innescò a suo tempo una replica precisa di Lucio Fabbri
(che, ahinoi, non è stata invece inserita da Alfano nel libro... peccato!). E sia: ci sarà consonanza tra Zirichiltaggia e Spirit dei Dobbie Brothers e tra Volta la carta e Paddy's Jig degli Steeleye Span, ma che c'entra la PFM? La Premiata nel live con De André, mantenne quegli arrangiamenti dall'album Rimini così come erano stati elaborati dalla triade Mims – Bubola – Reverberi. Poi l'idea di Alfano di denominare l'album con la dicitura “arrangiamenti PFM” preferendo un “accompagnamento PFM” è proprio fuori luogo e per nulla condivisibile. Musicalmente, in origine, cosa erano La guerra di Piero, La canzone di Marinella, Il giudice, Amico fragile, Bocca di Rosa, Il pescatore, Maria nella bottega del falegname, Il testamento di Tito, Verranno a chiederti del nostro amore, Giugno '73? E cosa sono diventate dopo quel tour, grazie agli arrangiamenti della PFM? La risposta sta nella carriera di De André che, anche in seguito, nei suoi live successivi, volle che quegli arrangiamenti di Mussida, Premoli, Djivas, Di Cioccio, Fabbri e Colombo rimanessero inalterati. Altro che accompagnamento...
Due: l'appunto Paul McCartney è morto, ma nessuno lo sa, riflessione sul divertente ed acuto lavoro ricostruttivo del famoso mito a cura di Glauco Cartocci (Il caso del doppio Beatle). Alfano ne distrugge le fondamenta senza, però, nemmeno entrare dalla porta e dare un'occhiata a chi c'è nell'appartamento... Alfano fiuta (e presume) che il lavoro di Cartocci possa parlare poco di musica e riduce il tutto ad una questione di gossip. E Alfano ammette, sì, di essere andato in libreria, ma “mi è bastato sfogliare l'introduzione del volume, più alcune decine di pagine dei vari capitoli/paragrafi di cui è composto il libro – le più significative, se così si può dire sperando di non abusare del termine -, perché mi passasse la voglia di leggerlo integralmente e soprattutto di spendere i soldi per l'acquisto”. Non è corretto, se non altro per una forma di rispetto nei confronti di chi quel libro lo ha scritto. Un brutto autogol.
Si può polemizzare con Alfano e mi è capitato di farlo più volte in forma privata. Io credo che le divergenze aiutino comunque a crescere e a fare crescere il nostro piccolo mondo critico. Gli input di Alfano – comunque la si pensi – offrono sempre una possibilità di replica, appunto, costruttiva. Cosa mi auspico dal nostro amico calabrese, pisano d'adozione? Beh, l'ho pregato più volte... ed ora passo dal privato al pubblico. Un saggio organico su un argomento specifico. Ben vengano le monografie, ma perché non pensare ad un equivalente italiano della pietra miliare Rocking the Classic di Edward Macan? Di sicuro, Alfano ha tutte le carte in regola per affrontare simile sfida e con risultati a lunga gittata. © Riccardo Storti 

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Saluto e ringrazio Riccardo Storti per la recensione del mio libro, e aggiungo un paio di precisazioni rispetto a quanto da egli detto a proposito del saggio Fabrizio De André in concerto con arrangiamenti (contraffatti) della PFM. La prima riguarda il mancato inserimento della replica di Fabbri nel libro. In effetti avevo pensato di farlo, ma se lo avessi fatto avrei dovuto inserire anche la mia controreplica, che Riccardo Storti non cita nella sua recensione ma che esiste, ed è uscita l’11 maggio 2011 sul sito yastaradio.com. Ho preferito evitare tutto ciò, limitandomi a pubblicare soltanto la versione lunga dell’articolo apparso in origine sulla rivista Apollinea e poi sul blog di Athos Enrile. Comunque, per chi fosse interessato all’argomento, la mia controreplica si trova qui: http://www.yastaradio.com/index.php?option=com_content&task=view&id=3998&Itemid=94.
La seconda precisazione riguarda il problema dell’arrangiamento/accompagnamento. Nel live del ’79 con De André (solo di quello io parlo nel libro), la Pfm si avvale di arrangiamenti altrui almeno in tre brani, su dieci complessivi: Zirichiltaggia, Volta la carta e Andrea, a cui si potrebbe però aggiungere anche Un giudice (si confronti la versione del ’79 con quella, assai simile, del ’71). Tre su dieci vuol dire il 30% del totale, e quattro su dieci il 40%, quasi la metà. In simili circostanze io penso che bisognerebbe perlomeno distinguere tra arrangiamenti propri e arrangiamenti di altri, e quelli degli altri evitare di farli diventare propri. Lucio Fabbri e Riccardo Storti sono liberi di non essere d’accordo, ma secondo me sbagliano.
Innocenzo Alfano

Centro Studi per il Progressive Italiano ha detto...

Caro Enzo, non sapevo della controreplica... certo, essendo in un altro spazio web, sarebbe stato difficile arrivarci. Hai fatto bene a segnalarla. Quanto al De André + PFM ritengo si debba tenere conto di tutto il lavoro complessivo, la cui testimonianza è su 2 dischi e non su 1. Se ci fermiamo a solo uno dei due volumi, la tua ricostruzione permane parziale. A quel punto la percentuale pro-arrangiamenti PFM è ben più alta e, in questo senso, credo sia molto difficile sbagliarsi. Non è una questione di essere d'accordo o in disaccordo...

Anonimo ha detto...

No, quello che dici non è corretto. Il resoconto sonoro della collaborazione, in principio, fu sistemato su un solo lp, che si intitolava, inequivocabilmente, "Fabrizio De André in Concerto - Arrangiamenti PFM". L’altro 33 giri, con lo stesso titolo, uscì l’anno dopo, cioè nel 1980. La tua scelta di analizzarli insieme è, appunto, una tua scelta, che io giudico arbitraria. Quando venne pubblicato il primo lp nessuno infatti sapeva che ne sarebbe seguito un secondo. Dunque chi aveva tra le mani il disco nel 1979 quello doveva analizzare, e accorgersi delle incongruenze che io ho fatto notare. D'altra parte i "critici specializzati", anche in Italia, esistevano già, solo che a quel tempo, come del resto (purtroppo) ancora oggi, erano troppo occupati con l’aneddotica per accorgersi di simili questioni musicali. E in ogni caso gli arrangiamenti di “Zirichiltaggia”, “Volta la carta”, “Andrea”, e anche di “Un giudice”, non sono della PFM, come continua ad esserci scritto sulle copertine dei compact disc pubblicati negli anni Duemila (il cd che ho io a casa è del 2000, edizione BMG Ricordi SpA). Un saluto a te e a tutti i lettori. Innocenzo Alfano

Anonimo ha detto...

Buongiorno Riccardo, buongiorno Enzo.
Ho letto con attenzione ed interesse la recensione e i vostri commenti.
Preferisco non entrare in merito ai contenuti della vostra discussione, poiché li ritengo molto complessi, e preferirei parlarne in altri contesti, magari di persona davanti ad un bicchiere di buon vino.
Sono questioni di cui bisogna parlare a voce, con un confronto diretto, altrimenti ho la sensazione che perdano un po' di forza.
Comunque l'unica opinione personale che ci tengo a sostenere riguarda una specifica critica, a mio avviso immeritata, mossa da Riccardo nei confronti di Enzo. Riccardo rimprovera ad Enzo di avere affermato nel paragrafo del suo libro, intitolato "Paul McCartney è morto, ma nessuno lo sa": "... mi è bastato sfogliare l'introduzione del volume, più alcune decine di pagine... perché mi passasse la voglia di leggerlo integralmente e... di spendere i soldi per l'acquisto". Il libro in questione, lo sappiamo, è "Il caso del doppio Beatle" di Glauco Cartocci, sulla presunta morte e conseguente sostituzione di persona di Paul McCartney.
Non credo affatto che sia scorretto cominciare a sfogliare un libro e poco dopo riporlo per sempre sullo scaffale.
Perchè dovrebbe esserlo? Dove sta scritto? Chi l'ha detto? Non siamo mica obbligati a leggere tutti i libri che ci capitano per le mani. E nemmeno siamo costretti a leggere integralmente tutti i libri che citiamo o di cui parliamo o scriviamo, se riteniamo, secondo la nostra buona coscienza, che per quello che ci serve e per quello che ci interessa abbiamo letto e ne sappiamo già abbastanza.
Magari si può trattare di un libro di 600 pagine che gira intorno all'infinito sulle stesse tematiche, e che con 50 pagine scritte bene avrebbe reso un servizio migliore. Magari è un libro di 1500 che se non fosse stato scritto non se ne sarebbe accorto nessuno.
Se non ci fosse la libertà di scegliere cosa leggere e cosa no, sarebbe un'inferno: passeremmo metà del nostro tempo a leggere libri che non ci interessano e non ci servono, ascoltare musica che ci da il voltastomaco e riteniamo inutile, guardare film a nostro avviso noiosissimi e stupidi. Anche io non condivido alcune posizioni di Enzo, e abbiamo avuto ampiamente modo di parlarne e di confontarci, ma credo che la libertà che si è preso di criticare un libro che ha preferito non approfondire perché a suo avviso non vale nemmeno la pena di essere letto, è l'affermazione di un sacrosanto diritto, il diritto di dichiarare pubblicamente: "Non condivido questa cosa che per me non serve a niente, quindi preferisco non perderci il mio tempo, che per me non merita, e ve lo dico, e vi spiego anche il motivo".
Ciao ragazzi, passate una buona giornata.
Gianmaria Consiglio

Centro Studi per il Progressive Italiano ha detto...

Rispetto ogni opinione, figurati. Però, mii sembra tutto così paradossale... ma se prendi la penna in mano (vabbé... chi la usa più da quando c'è il PC) e decidi di scriverne perché hai qualcosa da comunicare (se no, eviteresti) su un dato "oggetto", è chiaro che tu abbia cercato di ottenere più informazioni possibili su questo oggetto. Se scrivi di un libro, deve averlo letto, se no, di che cosa stai parlando (scrivendo)? Se no, scrivi a vanvera. Mi sembra elementare. Ma siamo anche liberi di scrivere a vanvera, partendo da una cognizione incompleta dell'oggetto in questione. Io non scrivo di ciò che non so e, comunque, non mi fermo alla prima impressione. Non credo di essere il solo a comportarmi così. La ritengo semplicemente onestà intellettuale. Soprattutto nel rispetto di chi scrive o di chi suona dall'altra parte. Poi, ripeto: si è LIBERI di NON leggere e di scrivere su ciò di cui NON si è letto. Ma, mi chiedo, però, a cosa serve scriverne? Quale contributo si offre ad un lettore? E, soprattutto, come mi posso - da lettore - fidare di chi ammette di non avere letto il libro di cui scrive una (mancata) recensione? Quale informazione ricevo in più, se non il punto di vista del recensore? Se serve a sfogarsi e, magari, a mirare verso altri orizzonti polemico-critici, ci può anche stare ma non te la puoi cavare affermando che ti siano bastate poche righe per capire tutto (e chiudere il libro). Lo puoi fare e lo puoi dire, ma io - lettore - resto lì... Chiedo: ti piacerebbe che qualcuno, senza avere letto il tuo libro, scrivesse che è da buttare ed è pesante perché appena lo ha aperto ha constatato che ci sono troppe analisi musicali, pertanto lo ha chiuso e lo ha riposto sullo scaffale, perché quello gli è bastato per capire tutto il tuo lavoro? E lavoro vuol dire sforzo, ricerca, etc. Non ti sentiresti, almeno, poco rispettato? Allora: pensiamo a questo. Se sappiamo cosa significhi pubblicare con un editore, sappiamo altrettanto bene quanti e quali passaggi nodali vi siano da affrontare in sede di attenzione scrittoria (e non solo). Come si può presumere che tutto ciò manchi. Pertanto, prima leggi e poi critica. Nessuno ti toglie il diritto di non leggere e scriverne, ma dietro ai libri ci sono delle persone (non bisogna dimenticarlo). Che non significa buttarla sul "personale", ma semplicemente rispettarle in quanto autori. E il rispetto passa anche attraverso la critica sui contenuti, ma se i contenuti ammetti di non volerli conoscere, che cosa critichi? Ed è qui che un diritto potrebbe anche trasformarsi in un danno "critico" che sarebbe meglio evitare. Insomma, non si fa il bene di chi scrive e della categoria a cui - volenti o nolenti - finiamo per appartenere (critici musicali? Blogger? etc.) Stammi bene. RS

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con te, Riccardo, anche se fino ad un certo punto.
Nel caso delle teorie sulla presunta morte di "Paul McCartney" si è detto fin troppo, e mi pare che si sappia abbastanza.
E infatti, se ho interpretato bene le sue intenzioni, non credo che Enzo abbia voluto colpire direttamente Cartocci, e che tantomeno la sua sia una questione personale.
Credo invece che abbia preso ad esempio questa pubblicazione per parlare della sua opinione, ovvero che trattare questo tipo di tematiche può essere fuorviante, perché non si parla più di musica ma di ipotesi alla "Voyager", quando parla della possibilità dell'esistenza degli extraterresti, dei loro presunti contatti con gli antichi Egiziani, o della profezia dei Maya sulla fine del mondo.
Anche io credo come Enzo che vendere le ipotesi basate su dati e prove non sufficienti e non del tutto convincenti come verità, o "quasi verità", è un modo sbagliato di informare e diffondere cultura. Ma questo è un problema che riguarda tutti i media italiani, che condannano presunti omicidi, quando magari la Procura non ha nemmeno iniziato ufficialmente le indagini, che fanno fantapolitica ecc... ecc...
Per quanto poi riguarda "l'onestà" intellettuale, sai bene, dato che conosci il mio modo di lavorare, che parli con uno che ne ha da vendere, perché prima ancora di pensare vado a verificare la fondatezza di ciò che ho pensato, e poi magari lo dico o lo scrivo, proprio perché credo che la ricerca della verità sia la cosa più importante sempre e in ogni aspetto della vita.
Ma se poi mi trovo a dovermi interrogare sulla validità e utilità di pubblicazioni del tipo "le 1000 canzoni più belle del rock", ho tanto da dirne, anche se non ho bisogno di leggermele tutte e con dovizia (magari posso anche farlo, ma non è necessario), perché per me già la premessa di un titolo del genere (come ce ne sono tanti) è sbagliata. In base a quali criteri si può stabilire che una canzone è più bella di un'altra? Mi pare che già a partire da questa a domanda ci sarebbe da scrivere molto.
E per il fatto che di pubblicazioni di questo tipo, come quelle riguardanti la morte di McCartney ce ne sono fin troppe, e sono tutte più o meno simili, perché l'argomento gira sempre intorno agli stessi indizi, presunti messaggi subliminali ecc..., e arriva alla stessa conclusione, cioè che Paul McCartney è morto, si parla di un approccio alla scrittura musicale, e non del titolo in questione che si è citato. Questo credo che sia lo spirito con cui Enzo ha scritto il paragrafo in questione nel suo libro.
Gianmaria Consiglio

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