PERIFERIA DEL MONDO Periferia del mondo - di Mattia Scarsi
5 aprile 2012
Dopo essere stata rimasterizzata dalle sapienti mani di Paolo Iafelice, già curatore dell’ultimo studio album di Fabrizio De Andrè, esce per Aereostella, la ristampa di Periferia del Mondo, terzo lavoro dell’omonima band romana. Prima di tuffarmi con voi nelle onde sonore dell’album, ci tenevo a dire qualcosa dalla riva, sperando di sapermi far comprendere. Ci provo: l’etimologia, ricetta di antiche radici, arcano e volatile incantesimo, è in realtà una disciplina concreta che scrive sul volto di ogni parola, quanta e quale vita ha vissuto. Quando viene al mondo la parola periferia significa il portare intorno, il rendere partecipi altri non tenendo tutto per sé. Col passare dei secoli il significato si è modificato in parte ed oggi, definiamo periferia, ciò che dista dal centro di una cosa. Fra il seme primigenio e il frutto maturo c’è l’intima scintilla che ci illumina: la vedete? La musica che viene al mondo per essere ascoltata e condivisa è il centro, il cuore. Chi fa musica porta (intorno a sé) questa scintilla.
Come nella nostra circolazione il sangue (la vita) viene spinto dal centro del cuore, andando ad irrorare tutte le importanti province (periferie)del nostro organismo. Pensate ai miliardi di spartiti sdraiati sui leggii del mondo: che ne sarebbe di loro senza i “periferici”, ossia senza coloro che se ne fanno portatori? Periferia del Mondo non è solo il titolo di questo lavoro, non è soltanto il nome di questo gruppo, bensì è il loro cammino, la loro missione.
Da questa missione riparte la band romana composta da Papotto, Braico, Tommasi, Vegliante e Zito con un lavoro che ribolle di idee e di maturità espressiva. Un album dai mille pregi a cominciare dal curatissimo sound, per non dire dell’equilibrio interno che il quintetto riesce a mantenere sempre, nonostante si tratti di musica nomade, di equilibrismi e poliritmie fra il jazz, il rock progressivo e qualche vagheggiamento etnico. La potente tempesta (e quiete) oratoria (oltre 10 minuti) della titletrack, ci spinge in mare aperto mettendoci davanti ai minacciosi flutti hard - rock di Oceani, finché un’onda magica non ci conduce nel bel mezzo di un suq, nell’ agorafobico andirivieni di un mercato del medio oriente, sballottati nella Suite mediterranea. Come detto in apertura, uno dei tanti pregi di questo gruppo è quello di suonare davvero come un gruppo in ogni sezione del disco che scorre nitido come un ingranaggio sempre puntualmente oliato. Il quintetto si muove con dimestichezza anche nella forma canzone dove elargisce melodie carezzevoli come nell’eccellente Chiaroscuro. Tommasi è un chitarrista che impugna con sovrana disinvoltura il suo scettro da cui estrae assolo da brividi o granitici riff come nel caso di Synaestesia, pietra lavica che sembra eruttata dall’infernale fucina di Lord – Blackmore, ai tempi di Fireball. Papotto, qui sorprende tutti con un travestimento vocale, indossando un timbro acuminato e minaccioso che aumenta le scintille della track. Per il resto l’apporto del polistrumentista è la solita congerie di classe, morbidezza ed incisività: basti citare a conferma di ciò il suo assolo di sax che eleva Angeli infranti dallo status di semplice canzone o le due tracce strumentali successive. In Cartoline per il Giappone, sul candido piano di Vegliante, Papotto dà fiato con clarinetto e sax, alla danza di una giovane geisha avvolta in un kimono di sensuale malinconia. Qualche secondo dopo, eccoci in un fumoso night nella Broadway degli anni ’50: loschi individui con lo sguardo imprigionato nel decolté di qualche futura starletta, uomini d’affari, odorosi di potere e misfatti, femmine fatali, mantidi sfrontate e camerieri impomatati che rincorrono laute mance. Il tempo galleggia torbido, come in una pozzanghera, scivolando sulle spazzole di Zito: Piove sul mare è un Coltrane marinato nello scotch. Non servono gli occhiali ma questa è musica in 3D. La nuova composizione Funkats, un accattivante funky che chiude questa ristampa, non aggiunge note di particolare merito ad un album che, dobbiamo dirlo onestamente, poteva e potrà essere migliorato in un solo modo: con un successore all’altezza che porti sempre più la Periferia del Mondo al centro della musica. (Mattia Scarsi)