LAKME' Endless Rail - di Mattia Scarsi

9 settembre 2012

Nel caos calmo di tutti i giorni, la fuoriserie che abbiamo dentro la testa si schianta o s’avventura, per inesorabile sfortuna o per negletta pigrizia, nelle sabbie mobili del luogo comune.
La diffusione di questa regione arida, di questa paralisi del ragionamento, lo sappiamo bene, sta fossilizzando il nostro linguaggio (in prognosi riservata) e trivellando le rughe alla creatività.
Si parla con metodicità kantiana della crisi dell’arte che non riesce nemmeno più ad ascoltarsi, figuriamoci a farsi ascoltare. La musica viene accusata di duplicare, con più o meno accorta ostinazione, la sua scorta di sette voci, esaurita da tempo.
Poi, fra i crepacci dell’abitudine, dopo quintali di ruminato, apparecchiato per piacere, ecco la distrazione. Qualcuno dà le spalle al “sistema”, si chiude nella propria “stanza” a preparare la valigia, riempiendola di un bagaglio rischioso e poco accondiscendente: la propria sensibilità.
Di recente ho avuto la fortuna di ascoltare i lavori pianistici di Chiarandini, Nocenzi, Bodin e Crivella tanto per dare qualche esempio di “bagaglio a rischio”.
Francesco Gazzara proviene dal mondo dell' acid jazz, ma ultimamente ha evidenziato una propensione per il rock di matrice colta, che ha lambito, carezzato e superato in un tempo esiguo. Nei Genesis ed in un certo art-rock inglese aveva imbevuto le trame di The Piano room mentre con i suoi ultimi lavori il percorso è stato sempre più limitrofo alla musica contemporanea in cui ha fatto convergere le colonne sonore e la background music, il rock, il jazz e l’impressionismo new age.
Endless rail è un amplio, variopinto macramé di tutto questo. Soffusa e ariosa la title track mentre Your hand si svuota su di noi come una brocca colma di argento vivo. Poi state pronti a ovattare il passo, trattenete il respiro e gustatevi Day after day, il reportage di un safari sulla Luna.
Alla faccia di chi dice che “In fondo le note sono sette e di lì non si scappa”. Quante volte vi è toccato ingollarvi pazienti, discorsi di questo calibro? Confutate questa insulsa emissione d’anidride carbonica provando ad ascoltare (e a far ascoltare) un brano orchestrale della statura di Unter see, vi sembrerà di nuotare nella Via Lattea.
Antartica e Shock and awe, sono due edelweiss, rari ed irraggiungibili, da cui inalare il fresco profumo plurivoco che il progressive possedeva nella sua infanzia. Gazzara si alterna con gusto pittorico fra il mellotron, l’organo, l’harmonium ed il pianoforte da cui evaporano suoni che conducono ad un luminoso samadhi dell’anima.
La mia opinione è che la bellezza (quella intima) si possa indossare in qualunque occasione.
Se proprio dovessi suggerire un climax ideale per l’ascolto di questo lavoro, propenderei forse per l’imminente notte di San Lorenzo, la notte delle Perseidi, quando il cielo verrà irrigato da sciami erranti di astri in fuga.
Forse perché è un lavoro che promana una serenità celeste, forse perché è intarsiato da un pacato, dolcissimo desiderio. E forse desiderare (dal latino de-sidera) significa sdraiarsi a guardare le stelle aspettando che da loro discenda qualcosa. (Mattia Scarsi - tratto da contrAPPUNTI - Quaderno trimestrale del Centro Studi per il Progressive Italiano - Anno VII - n. 4 - inverno 2010-2011)


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