LE ORME La Via della Seta – di Riccardo Storti
5 settembre 2011
Prima l’attesa, poi la curiosità. Ogni volta che esce un nuovo disco di una band “fondativa” del progressive italiano, l’attenzione è ai massimi livelli. Figuriamoci poi se questo gruppo si chiama “Le Orme”. Inoltre, tenuto conto delle svariate vicissitudini degli ultimi due anni, alla notizia di questa nuova pubblicazione, gli appassionati hanno avuto modo di vedersi raccontato – in musica – un ulteriore capitolo. Ma, come è nostro costume, qui si parla e si scrive di note; il resto non ci appartiene, anche perché l’unico dato che abbiamo tra le mani è un CD che attende di essere, prima di tutto, ascoltato. Però la questione di fondo resta ed è inutile girarci in giro o celarsi dietro ad dito. Ma come saranno Le Orme, per la prima volta, senza la voce e la presenza di Aldo Tagliapietra? Credo sia onesto chiedercelo. Ma pari onestà si impone necessaria durante l’ascolto. Che parli la musica.
L’idea di fondo- grazie all’imbeccata produttiva di Guido Bellachioma – possiede un indubbio fascino: un concept album sulla Via della Seta, considerata alla stregua di una categoria geo-esistenziale in grado di mettere in comunicazione l’Oriente con l’Occidente e viceversa. La sceneggiatura trova modo di essere immersa in un plot sonoro dalle coordinate ben fedeli alla connaturata vena sinfonica (Verso Sud, Incontro dei popoli). Il lavoro di scrittura tastieristica di Michele Bon si rivela pertanto ben strutturato di rimandi tanto al tratto emersoniano (l’attacco di L’alba di Eurasia, il pianismo di Mondi che si cercano, il simil bolero della title track, così Abadon) quanto ai Genesis (29457. L’asteroide di Marco Polo). Va aggiunto che La Via della Seta non subisce passivamente la seduzione degli anni Settanta ma denota sonorità molto più vicine al neoprog contemporaneo (Il romanzo di Alessandro, Una donna). Ovviamente la tradizione ormistica è viva soprattutto in alcuni ariosi temi, il cui modello potrebbe essere ricondotto composizioni sulla falsariga di Maggio (Serinde, La prima melodia e Xi’an-Venezia-Roma). Da non trascurare l’apporto del bassista Fabio Trentini: qua e là (penso al preludio di Serinde, prima della frase di moog) si percepiscono alcuni precisi marcatori vicini al sound di alcuni suoi lavori solistici. Il drumming di Dei Rossi ben si collega all’impianto totale per calore e pertinenza dinamica.
Senz’altro più pregi che imperfezioni. Unico neo, i testi non sempre ispirati, o meglio: il prestigioso apporto di Maurizio Monti pare staccato dalla dinamica di gruppo. Manca ancora una sintonia lirica a cui Le Orme ci hanno abituato da sempre.
D’altra parte si ha l’impressione che Le Orme abbiano scelto di dare molto più spazio alla vena strumentale rispetto a quella canora, forse perché su quest’ultimo versante si viene a toccare un punto delicato. E la scelta di consegnare le parti cantate al vocalist dei Metamorfosi Jimmy Spitàleri non appare né posticcia, né forzata. Si tratta di un timbro dotato di una concreta personalità autonoma. Anzi, rispetto ai tempi di Inferno, l’ugola è dotata di maggiore controllo. Uno Spitàleri lirico e, al tempo stesso, potente e, per fortuna, non più retorico.
Alla fine dei giochi, mi viene spontaneo il parallelo con un altro CD di qualche anno fa, firmato da un complesso storico. Mi riferisco a Marco Polo dei Latte e Miele. Le telepatie - musicali e contenutistiche - sono numerose (l’aura sinfonica e il tema del viaggio in Oriente). Detto questo, però valga un consiglio. Ascoltate La Via della Seta senza troppe pretese dietrologiche. Ascoltatelo e basta. Confrontare, serve a poco. Gli spunti brillanti abbondano. Certo: c’è un percorso diverso che trova la sua forza nelle polifonie tastieristiche di Bon, nelle articolazioni percubatteristiche di Dei Rossi e nel sostegno ritmico-sonico di Trentini. Al trio si aggiunga un interprete vocale di peso e di carattere come Jimmy Spitàleri. Altri passi, altre orme.
© Riccardo Storti
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