OUTOPSYA Fake di Riccardo Storti
27 settembre 2013
Manca indubbiamente qualcosa e, nonostante l'esplicito
ricorso alla numerologia, i conti non tornano. E ringrazio di cuore gli
Outopsya per avermi fornito un presskit stampato piuttosto esaustivo,
soprattutto illuminato dalle illuminanti interviste di Athos Enrile e Donato
Zoppo. Per il resto, sfido chiunque a capirci qualcosa, partendo dalle poche
note di copertina.
L'ammirevole Lizard – come sempre – si distingue per coraggio visto che Fake è un doppio CD di “musica
disturbante, ossessiva, impervia” (cito dal loro comunicato stampa). E va bene.
Non dico la provocazione, ma l'idea di affidarsi a quanto fa più noise,
industrial, postrock, musica colta, elettronica da ambiente è comunque valida.
Esiste ormai una tradizione assodata. 22 brani per 90 minuti non sono uno
scherzo. Due i composer-esecutori: il poliedrico Luca Vianini (chitarra,
tastiere, batteria e voce) e Evan Mazzucchi (basso e violoncello). Ad un primo
ascolto, sembra un'unica lunga improvvisazione con forti espansioni atmosferiche
in cui non accade nulla sull'orizzonte melodico e armonico (mentre le
pulsazioni rasentano la piattezza dei battiti). Leggo meglio e apprendo che Fake è stato “concepito proprio come
unica traccia” che “un po' per comodità e un po' per caso, abbiamo diviso in 22
brani”. 11 + 11! E così il disco esce l'11-11-11. Il giochino ha pure un lato
divertente: il ricorso ad una numerologia inconscia fa molto “out” (opsya...).
Però continua a sfuggirmi molto, mentre tento di mantenere una certa stabilità
d'ascolto tra attacchi alla Mr. Bungle, chitarre crimsoniane, dissonanze
detonate a Darmstadt 60 anni fa e liquidità di calcolate improvvisazioni. Leggo
meglio e scopro l'equivoco di fondo: emerge che Fake è nato “come colonna sonora del film muto di Rupert Julian Il fantasma dell'opera (1925)”. Caspita,
un classico del cinema. Ciò significa che, per quanto questo lavoro voglia
essere free e visionario, deve avere attinenza con le immagini in movimento
proiettate sullo schermo. Un commento musicale che racconta e supplisce alla
parola: allora, sì, che sento gli Outopsya come
abili facitori di soundtrack. Però, attenzione, al di fuori del contesto, Fake suona come un lavoro assai
dispersivo, a tratti addirittura noioso e pretenzioso, non tanto di difficile
accettazione, ma nato da un errore comunicativo. I punti “luce” sono proprio
pochi (qualche guizzo melodico in Lilies
e la vivacità armonica e ritmica (7/8) di Enter
the brain), il resto rischia di perdersi in un percorso oscuro, incerto
(per l'ascoltatore) e troppo votato ad una casualità di comodo.
Altro discorso critico, se si potesse visionare il film con
Fake in sottofondo. L'impressione è
che l'album dipenda troppo dal film e, per tale motivo, manchino adeguati
sostegni di apprezzamento.
© Riccardo Storti
0 commenti:
Posta un commento